Sin da bambino sono stato affascinato dalle case abbandonate e dai ruderi. Credo che raccontino una storia; quelle mura, ora erose dalle intemperie, una volta accoglievano e riscaldavano una o più famiglie, al loro interno si sono consumati pasti, litigi, amori, odi, affetti ed ora tutto giace in balia della natura.
Le persone che hanno voluto e desiderato quelle case ora non ci sono più, eppure esse sono ancora lì (per poco) a testimoniare la loro esistenza, ma pian piano la vegetazione avanzerà e riconquista ciò che ai tempi gli fu sottratto.
Un senso di nostalgia avvolge l'osservatore, ma una nostalgia non lugubre bensì una sorta di consapevolezza della caducità della vita e di come tutto si trasformi col tempo in un ciclo che dura da milioni di anni.
Un senso di nostalgia avvolge l'osservatore, ma una nostalgia non lugubre bensì una sorta di consapevolezza della caducità della vita e di come tutto si trasformi col tempo in un ciclo che dura da milioni di anni.
Le emozioni descritte sopra sono ben presenti anche qui ed anzi sono esacerbate in questa seconda condizione. All'interno di una fabbrica la gente forniva manodopera in cambio di soldi che servivano per costruire le case in cui poi si sarebbero consumati "pasti, litigi, amori, odi, affetti", la gente sudava, faceva fatica, si feriva, moriva e tutto questo in condizioni che oggigiorno sarebbero impensabili.
In particolar modo questa che andrò a descrivere era una Polveriera, situata a Taino (VA).
Per arrivare ai ruderi della Polveriera di Taino bisogna percorrere un breve tratto di strada in salita che ci conduce, con infittimento graduale della vegetazione, in una zona boschiva molto isolata. Qui i rumori sono ovattati e il fruscio delle foglie è più intenso del traffico che si ode in lontananza.
All'ingresso della polveriera si è pervasi da un senso di pace, un senso di "tempo antico" e chiudendo gli occhi altro non riesco ad immaginare se non operai vestiti un po' come in quei film in bianco e nero degli anni '30.
Ora dove tutto giace, un tempo era luogo frenetico, affollato e molto rumoroso con macchinari, urla, passi e voci. La foto appena sotto è una ripresa aerea presa da Google Maps, quelle parti arancioni sono ciò che rimane dei tetti, credo che questa foto renda l'idea di ciò che ho scritto.
La storia della Polveriera di Taino parte nel lontano 1914, anno in cui venne battezzata e divenne operativa con l'assunzione di oltre 50 operai. Con gli anni la polveriera si espanse, vide un'ascesa economica e negli anni successivi divenne la principale fonte occupazionale dei Tainesi e degli abitanti delle zone limitrofe. Questa polveriera fu macchiata con sangue umano nel 1935, anno in cui un'esplosione tolse la vita a 35 persone di cui quasi metà Tainesi, il ricordo è ancora vivo tra gli anziani di questo piccolo comune del varesotto.
Negli anni '40, grazie anche al secondo conflitto mondiale, si raggiunse il picco massimo e la fabbrica contava quasi 2.000 operai.
Fa strano pensare che in un luogo ora così quieto un giorno si potessero produrre gli "strumenti di morte" con cui si è fatta la storia che ora studiamo sui libri. Chissà quanti nazisti e fascisti usufruirono di queste armi, chissà quanti crimini furono commessi, chissà quanti morti produssero, eppure ora tutto giace nell'oblio di quelle mura diroccate.
La Polveriera di Taino riuscì a sfuggire ai bombardamenti della seconda guerra mondiale e rimase attiva, sebbene il suo declino fosse iniziato. Nell'autunno del 1972 la fabbrica venne dismessa e da allora non fu più adibita a null'altro, solo lasciata lì in mezzo al bosco che pian piano se ne prese possesso.
All'ingresso della fabbrica abbandonata ci attende un cancello, ormai corroso dalla ruggine, affisso a due pilastri di cemento uniti tra loro da un terzo a forma di , una struttura solenne, austera ed imponente, quasi volesse intimorire coloro che volessero oltrepassarla.
La strada asfalta, anzi ex-asfaltata, che conduceva all'interno della polveriera è ormai ricoperta dalla vegetazione. I rovi ricadenti si sono dolcemente appoggiati sulla strada, l'erba si è espansa dai margini sino alla parte centrale della strada, piccole fessure nell'asfalto hanno creato l'ambiente ideale per la crescita di erbe infestanti o addirittura alberi (in foto si vede una Robinia) che a loro volta hanno allargato le fessure dell'asfalto fornendo "nuova terra" per altre piante.
Appena all'ingresso troviamo una prima struttura, non ho idea di quale fosse la sua natura, ma forse poteva trattarsi degli uffici o della casa del custode, l'aspetto è più quello di un edificio abitativo che di una fabbrica. Non vi nego che questa sia la parte che più mi incusse timore ed un ancor più forte senso di "abbandono", forse dovuto anche al fatto che in quel punto la vegetazione era fittissima e, sebbene fosse una giornata estiva con sole, la luce era flebile tanto che la macchina fotografica usò il "flash" in automatico per fare le foto.
Una scala ricoperta da vegetazione conduce a quella che doveva esser la porta d'ingresso, le pareti sono ricoperte da muschio e muffe, l'intonaco interno è stato eroso e qua e là si intravedono i mattoni "nudi".
Dalle finestre rotte fotografai le stanze ed i lunghi corridoi; il "flash" e l'effetto "luce-buio" hanno acuito quel senso di degrado già fortemente presente e, riguardandole, mi viene in mente qualche film horror anni '80 o la bambina de "L'esorcista".
Gli edifici sono tanti, sparsi su un'area enorme e probabilmente ce ne sono molti più di quelli che vidi, infatti in alcune zone la vegetazione era così fitta da non lasciar passare nessuno che non fosse munito di falcetto, guanti e pantaloni lunghi. Alcune costruzioni sono praticamente mimetizzate e sommerse dalla vegetazione incolta.
Proseguendo ed addentrandosi nel cuore della Polveriera di Taino oltrepassiamo diversi edifici o quel che ne rimane fino ad arrivare in un strada in leggera pendenza ed alberata con imponenti piante tra cui i Platani; sulla sinistra si nota quello che doveva essere lo stabilimento principale o il cuore produttivo della fabbrica di armi.
Le vetrate rotte e l'aspetto fatiscente incuriosiscono e spaventano al tempo stesso, ma è all'interno che si trova l'ambiente più caratteristico. Infatti qui, grazie al tetto in parte fatto da vetrate, la luminosità è superiore rispetto ad altre zone, inoltre il percolare dell'acqua lungo le pareti ed i pilastri di sostegno rendono l'ambiente umido ed adatto allo sviluppo di muschio; questo, insieme all'edera, si è impadronito dell'edificio tappezzando quasi interamente la pavimentazione.
In una zona vi sono delle sinistre botole la cui utilità non mi sovviene alla mente e, proseguendo, si arriva ai bagni. Essi sono disposti in un corto corridoio, su una parete i Wc, sull'altra presumo delle docce ormai ampiamente "vandalizzate".
La gerarchia dei tempi si evidenzia anche nei bagni, alcuni potevano stare seduti e comodi in uno stanzino in disparte, altri dovevano accontentarsi di turche separate da muri alti si e no 2 metri.
L'ultima zona che visitai fu un edificio disposto su due piani uniti da una scala che dava tutta l'impressione di essere traballante e pronta a crollare da un momento all'altro. Al piano terra vi era il quadro elettrico (o qualcosa del genere), al piano superiore vi erano delle strane strutture che somigliavano a dei tiranti ed il pavimento in prossimità di esse era forato mettendo in comunicazione i due piani.
Percorsi la strada inversa a velocità decisamente più sostenuta rispetto all'andata ed infine mi trovai fuori dove tutto aveva un'altra prospettiva, sebbene tutt'attorno fosse incantato quasi come se il tempo fosse ibernato dal lontano 1972.
In particolar modo questa che andrò a descrivere era una Polveriera, situata a Taino (VA).
Per arrivare ai ruderi della Polveriera di Taino bisogna percorrere un breve tratto di strada in salita che ci conduce, con infittimento graduale della vegetazione, in una zona boschiva molto isolata. Qui i rumori sono ovattati e il fruscio delle foglie è più intenso del traffico che si ode in lontananza.
All'ingresso della polveriera si è pervasi da un senso di pace, un senso di "tempo antico" e chiudendo gli occhi altro non riesco ad immaginare se non operai vestiti un po' come in quei film in bianco e nero degli anni '30.
Ora dove tutto giace, un tempo era luogo frenetico, affollato e molto rumoroso con macchinari, urla, passi e voci. La foto appena sotto è una ripresa aerea presa da Google Maps, quelle parti arancioni sono ciò che rimane dei tetti, credo che questa foto renda l'idea di ciò che ho scritto.
La storia della Polveriera di Taino parte nel lontano 1914, anno in cui venne battezzata e divenne operativa con l'assunzione di oltre 50 operai. Con gli anni la polveriera si espanse, vide un'ascesa economica e negli anni successivi divenne la principale fonte occupazionale dei Tainesi e degli abitanti delle zone limitrofe. Questa polveriera fu macchiata con sangue umano nel 1935, anno in cui un'esplosione tolse la vita a 35 persone di cui quasi metà Tainesi, il ricordo è ancora vivo tra gli anziani di questo piccolo comune del varesotto.
Negli anni '40, grazie anche al secondo conflitto mondiale, si raggiunse il picco massimo e la fabbrica contava quasi 2.000 operai.
La Polveriera di Taino riuscì a sfuggire ai bombardamenti della seconda guerra mondiale e rimase attiva, sebbene il suo declino fosse iniziato. Nell'autunno del 1972 la fabbrica venne dismessa e da allora non fu più adibita a null'altro, solo lasciata lì in mezzo al bosco che pian piano se ne prese possesso.
All'ingresso della fabbrica abbandonata ci attende un cancello, ormai corroso dalla ruggine, affisso a due pilastri di cemento uniti tra loro da un terzo a forma di , una struttura solenne, austera ed imponente, quasi volesse intimorire coloro che volessero oltrepassarla.
La strada asfalta, anzi ex-asfaltata, che conduceva all'interno della polveriera è ormai ricoperta dalla vegetazione. I rovi ricadenti si sono dolcemente appoggiati sulla strada, l'erba si è espansa dai margini sino alla parte centrale della strada, piccole fessure nell'asfalto hanno creato l'ambiente ideale per la crescita di erbe infestanti o addirittura alberi (in foto si vede una Robinia) che a loro volta hanno allargato le fessure dell'asfalto fornendo "nuova terra" per altre piante.
Appena all'ingresso troviamo una prima struttura, non ho idea di quale fosse la sua natura, ma forse poteva trattarsi degli uffici o della casa del custode, l'aspetto è più quello di un edificio abitativo che di una fabbrica. Non vi nego che questa sia la parte che più mi incusse timore ed un ancor più forte senso di "abbandono", forse dovuto anche al fatto che in quel punto la vegetazione era fittissima e, sebbene fosse una giornata estiva con sole, la luce era flebile tanto che la macchina fotografica usò il "flash" in automatico per fare le foto.
Una scala ricoperta da vegetazione conduce a quella che doveva esser la porta d'ingresso, le pareti sono ricoperte da muschio e muffe, l'intonaco interno è stato eroso e qua e là si intravedono i mattoni "nudi".
Dalle finestre rotte fotografai le stanze ed i lunghi corridoi; il "flash" e l'effetto "luce-buio" hanno acuito quel senso di degrado già fortemente presente e, riguardandole, mi viene in mente qualche film horror anni '80 o la bambina de "L'esorcista".
Gli edifici sono tanti, sparsi su un'area enorme e probabilmente ce ne sono molti più di quelli che vidi, infatti in alcune zone la vegetazione era così fitta da non lasciar passare nessuno che non fosse munito di falcetto, guanti e pantaloni lunghi. Alcune costruzioni sono praticamente mimetizzate e sommerse dalla vegetazione incolta.
Proseguendo ed addentrandosi nel cuore della Polveriera di Taino oltrepassiamo diversi edifici o quel che ne rimane fino ad arrivare in un strada in leggera pendenza ed alberata con imponenti piante tra cui i Platani; sulla sinistra si nota quello che doveva essere lo stabilimento principale o il cuore produttivo della fabbrica di armi.
Le vetrate rotte e l'aspetto fatiscente incuriosiscono e spaventano al tempo stesso, ma è all'interno che si trova l'ambiente più caratteristico. Infatti qui, grazie al tetto in parte fatto da vetrate, la luminosità è superiore rispetto ad altre zone, inoltre il percolare dell'acqua lungo le pareti ed i pilastri di sostegno rendono l'ambiente umido ed adatto allo sviluppo di muschio; questo, insieme all'edera, si è impadronito dell'edificio tappezzando quasi interamente la pavimentazione.
In una zona vi sono delle sinistre botole la cui utilità non mi sovviene alla mente e, proseguendo, si arriva ai bagni. Essi sono disposti in un corto corridoio, su una parete i Wc, sull'altra presumo delle docce ormai ampiamente "vandalizzate".
La gerarchia dei tempi si evidenzia anche nei bagni, alcuni potevano stare seduti e comodi in uno stanzino in disparte, altri dovevano accontentarsi di turche separate da muri alti si e no 2 metri.
L'ultima zona che visitai fu un edificio disposto su due piani uniti da una scala che dava tutta l'impressione di essere traballante e pronta a crollare da un momento all'altro. Al piano terra vi era il quadro elettrico (o qualcosa del genere), al piano superiore vi erano delle strane strutture che somigliavano a dei tiranti ed il pavimento in prossimità di esse era forato mettendo in comunicazione i due piani.