mercoledì 2 novembre 2016

Cos'è il Fototropismo nelle Piante? Come Funziona?

Chi non ha mai coltivato una pianta in casa, magari vicino alla finestra? Penso nessuno e penso anche che molti di voi avranno notato che se la pianta non viene mossa o girata, dopo un po' di tempo indirizzerà le proprie foglie ed i nuovi rami verso la finestra (o la fonte luminosa).

Questo fenomeno è noto come Fototropismo (o Eliotropismo, ma qual è il suo ruolo? Come fanno le piante a percepire la direzione da cui proviene la luce? Quali sono i meccanismi che spostano le foglie verso il Sole? Quando e perché succede?

Fototropismo nel Corbezzolo


Tutte le piante devono svolgere una reazione per loro fondamentale, la Fotosintesi Clorofilliana che, come avrete letto, necessita dell'energia solare. La luce è dunque essenziale per le piante e un ambiente innaturale e poco luminoso, come l'interno di un'abitazione, esacerberà il fototropismo.
Questo meccanismo si è evoluto per poter intercettare il massimo delle radiazioni luminose, mantenendo le radici ancorate al suolo.


Ma quindi piante cresciute all'aperto non sono soggette a questo fenomeno?

Ovviamente le piante non possono muoversi e non possono scegliere dove nascere. Un seme può essere trasportato dal vento e trovare terreno fertile, anche in una zona ombrosa, magari dietro ad un albero o a un grosso muro. Il fototropismo permetterà alla futura pianta di crescere nella direzione opposta rispetto all'ostacolo, garantendo alla pianta adulta una migliore esposizione ai raggi solari

Se prendessimo due piante con elevato fabbisogno di Sole e le seminassimo in una stessa posizione ombrosa, quella che si "muoverà" di più verso la luce, svolgerà una fotosintesi più efficace, riuscirà a produrre più frutti e, di conseguenza, a spargere più semi. Avrà dunque un enorme vantaggio evolutivo, rispetto alla pianta poco avvezza a direzionarsi verso la luce. 

Quindi il fototropismo è ben evidente anche negli ambienti naturali ed esterni, ma l'entità di questo fenomeno non è identico in tutte le specie. Questo perché ogni specie  ha un diverso fabbisogno di luce solare: alcune piante si accontentano di poche ore di luce diretta al giorno ed, anzi, un'eccessiva esposizione al Sole è per loro dannosa; altre piante, invece, sono particolarmente Eliofile (amanti del Sole) e cercheranno di stare, quante più ore possibili, esposte ai raggi solari diretti .

Se prendessimo l'Edera noteremmo che non è molto soggetta al fototropismo, infatti riesce a fiorire e a riprodursi anche in luoghi ombreggiati. Se invece osservassimo la Mimosa, ci accorgeremmo che la sua chioma cresce spesso sbilanciata e rivolta dalla parte opposta rispetto all'ostacolo (case, muri, grossi alberi, dirupi etc.).
Una delle piante più eliofile in assoluto (l'Olivo) è talmente soggetta al fototropismo da indirizzare le proprie foglie verso il Sole (nell'emisfero boreale, verso Sud), anche se cresciuta in pieno campo e godendo del Sole dall'alba al tramonto. Qualora vi perdeste in un campo di Olivi, osservate le foglie e saprete che "guardano verso Sud".




Ma ci sono effetti negativi nel fototropismo?

Certamente sì, in primis una chioma sbilanciata non giova di certo all'estetica di una pianta quindi, se una specie ornamentale si "piega troppo", sarà meglio intervenire con opportune potature.
In secondo luogo, una pianta sempreverde "storta", in zone in cui nevica, può essere più soggetta a danni meccanici da neve.
La neve può rappresentare uno stress non da poco; essa è infatti pesante e se non è equi-distribuita sulla chioma può facilmente spezzare rami, anche di un certo diametro.


Ma quali sono le basi molecolari di questo fenomeno? Come fanno le piante a "sentire" la luce ed ad attuare una risposta? Perché le foglie si piegano verso la sorgente luminosa?


Il fototropismo delle piante fu studiato già a partire da inizio '800. Il botanico svizzero Augustin Pyrame de Candolle (1778-1841) osservò che le piante si piegavano verso la luce e dedusse che la causa di questa asimmetria fosse attribuibile ad una diversa velocità di crescita delle cellule poste sul lato esposto all'ombra, rispetto alle altre. Tuttavia non riuscì a comprendere come questo avvenisse e come la radiazione solare potesse influenzare la velocità di crescita.

Una settantina di anni dopo, Charles Darwin e suo figlio Francis investigarono ulteriormente il fenomeno. Provarono a crescere dei germogli ed osservarono che, sin dai primi istanti di vita, i coleottili (stadio del germoglio in cui vi è la prima, ed unica, foglia) si piegavano tutti verso la fonte luminosa e che se la luce veniva spostata, allora anche i coleottili cambiavano il proprio orientamento; fin qua nulla di nuovo.

Ripetettero l'esperimento con quattro coleottili:

  • Al primo venne tagliato l'apice vegetativo (la punta o estremità)
  • Al secondo fu applicato un un nastro opaco, all'apice vegetativo
  • Al terzo fu applicato un nastro trasparente, all'apice vegetativo 
  • Al quarto fu applicato un nastro opaco alla parte basale del germoglio
  • Il quinto venne lasciato crescere normalmente (controllo).

I Darwin osservarono che i germogli 1 e 2 non si piegavano più verso la luce, mentre i 3,4,5 sì. In altre parole se veniva rimosso l'apice vegetativo o veniva "tenuto al buio" da un nastro opaco, la pianta non era più soggetta al fenomeno del fototropismo. E' interessante notare che il nastro opaco di per sé non inibisce il fototropismo, lo fa solo se "oscura" l'estremità, mentre non ha effetto se "oscura" la parte basale.

Darwin dedusse che ci dovesse essere una qualche sostanza, prodotta dall'apice vegetativo, in seguito ad esposizione alla radiazione luminosa e che questa sostanza andasse a regolare la crescita delle cellule sottostanti (parte basale della pianta), causando l'incurvatura.
Esperimenti di Darwin sul Fototropismo



Nel 1913 il Danese Boysen-Jensen diede un'ulteriore dimostrazione che la "sostanza segnale del fototropismo" dovesse passare dall'apice, alla parte basale del germoglio. Per fare questo tagliò l'apice, inserì uno strato di gelatina (Agar) o di mica (un materiale impermeabile all'acqua) ed infine ci ricollocò sopra l'apice rimosso in precedenza.
Egli notò che il fototropismo si manifestava solo dopo l'inserimento dello strato di gelatina e ne dedusse che la sostanza ignota dovesse essere di origine chimica e che potesse diffondere (come l'acqua) attraverso la gelatina, ma non attraverso la mica.

Peter Boysen-Jensen fece anche un altro esperimento: inserì un pezzettino di mica sul lato illuminato o su quello in ombra.
Egli notò che quando il pezzo di mica era inserito nel lato rivolto verso la luce, il germoglio era soggetto a fototropismo e si indirizzava verso la luce, esattamente come il controllo "naturale".
Se invece la lamina di mica era inserita sul "lato oscuro", allora il germoglio perdeva la capacità di flettersi.
In altri termini, se il pezzetto di mica impediva il passaggio del segnale chimico dall'apice alle cellule "in ombra", allora si bloccava il fototropismo.

Questo suggerì che il segnale chimico prodotto dall'apice vegetativo dovesse stimolare solo le cellule del lato in ombra, facendole crescere di più rispetto a quelle presenti sul lato assolato.


A metà degli anni '20, lo scienziato Frits Went recise l'apice dei coleottili e li depose a contatto con l'Agar, in corrispondenza del taglio. Dopodiché mise il tutto in una stanza buia ed aspettò che "la sostanza ignota" diffondesse dall'Apice reciso all'Agar.
Successivamente appoggiò il pezzo di Agar centralmente, sopra al germoglio reciso ed osservò che esso iniziò a crescere diritto. Ripetette l'esperimento, posizionando l'Agar in maniera asimmetrica, più spostato verso uno dei lati della "piantina recisa" ed osservò che la pianta si piegava nella direzione opposta rispetto al punto di applicazione dell'Agar.
Come controllo usò un pezzetto di Agar che non era venuto a contatto con niente e nulla si mosse, suggerendo che non era l'Agar in sè a far crescere il germoglio.
Ne dedusse che questo "fattore di crescita", prodotto dall'Apice del Germoglio, fosse diffuso nell'Agar e che il pezzetto di Agar intriso di questa sostanza chimica potesse comportarsi come l'Apice vero e proprio.
Inoltre capì che solo la linea di cellule sottostanti all'Agar (e quindi a questa sostanza chimica) erano indotte a crescere.

Esperimenti Boysen-Jensen e Went Fototropismo



Questo fattore di crescita (ormone) venne nominato Auxina ("Auxein", che in Grego significa "aumentare"), ma ci vollero altri 20 anni per avere un'identificazione chimica. Nel 1931 Kogl Haagen & Smit Thirmann scoprirono che l'Auxina è un acido carbossilico: l'acido indol-3-acetico (IAA).

L'ultimo tassello da capire è come ci possa essere, naturalmente, una distribuzione così asimmetrica dell'Auxina. Inizialmente si credeva che la radiazione luminosa degradasse o rendesse inattiva l'Auxina; quindi nelle cellule apicali del germoglio, poste in ombra, c'era una più alta concentrazione di Auxina o una più alta concentrazione di Auxina "funzionante".
Successivamente, altri esperimenti, evidenziarono come la radiazione luminosa alterasse la velocità di diffusione, alterando il flusso di Auxina tra la parte in ombra e quella illuminata. In altre parole, il flusso netto di Auxina era nella direzione Cellule Illuminate verso Cellule in Ombra e, di conseguenza, determinava un maggiore accumulo di questo ormone nel lato ombreggiato.
A tutt'oggi non si ha ancora una risposta univoca; la cosa più probabile è che siano vere entrambe le ipotese e che i meccanismi che controllano l'Auxina siano molti ed interconnessi tra di loro.


RIASSUMENDO:

La luce colpisce l'apice vegetativo dei germogli, questi rispondono producendo l'Auxina. Questo ormone sarà meno concentrato dalla parte dell'apice maggiormente esposto alla luce. L'Auxina provoca la crescita delle cellule "in ombra", al di sotto dell'apice vegetativo (parte basale del germoglio). Questa crescita differenziale fa si che le cellule sul lato ombroso siano più lunghe, determinando la piegatura del germoglio verso il lato opposto (quello assolato).


Effetti di Luce e Auxina sulle Cellule

Pianta piegata verso la luce



mercoledì 26 ottobre 2016

Dove Crescono i Papaveri Rossi (Papaver rhoeas)? Quando Fioriscono?

Tra le molte specie di Papaveri, quella più diffusa e comune in Italia è sicuramente il Papavero Rosso o Rosolaccio (Papaver rhoeas) che, in primavera, compare nei prati, diventando addirittura infestante. 

Come si coltivano i Papaveri? In che periodo fioriscono in Italia? Quante e quali specie di Papavero ci sono nel Mondo? Quando si semina?

Papaver rhoeas

Col nome generico "Papaveri" ci riferiamo alle quasi 50 diverse specie, tutte appartenenti al genere Papaver. L'origine del Papavero Rosso, così come delle altre specie, non è del tutto chiara, ma si pensa sia nativo delle zone temperate comprese tra Europa, Nord Africa, Nord America ed Asia, escludendo un'origine in zone tropicali.
Alcune specie di Papavero, come ad esempio il Papaver orientale, sono perenni, ovvero, ricrescono di anno in anno, proprio come avviene per alcune bulbose (es. Narcisi). Questa prima tipologia di Papaveri si riproduce spesso per via vegetativa ed ha una scarsa produzione di semi.
La seconda categoria è rappresentata dai Papaveri Annuali o Biennali, i quali vivono, rispettivamente, uno o due anni. Queste specie, tra cui il Papaver rhoeas, producono un'abbondante quantità di semi, che si disperdono facilmente nell'ambiente circostante.
Le maggiori differenze tra Papaveri perenni ed annuali sono quelle sopraelencate, tuttavia le differenze morfologiche ed estetiche tra le specie sono marcate anche all'interno di questi due raggruppamenti.

Fioritura Papaveri


Botanica e Fisiologia :

Foglie e Steli PapaveroIl Papavero Comune o Rosolaccio (Papaver rhoeas) è una pianta annuale a sviluppo erbaceo, che appartiene alla famiglia delle Papaveraceae. Raggiunge un'altezza di circa 60-70 cm (24-27 in), con i fiori posti alla sommità del fusto. Le foglie di questa specie sono concentrate nella parte basale del fusto, sono di color verde, dalla forma lanceolata e coi margini seghettati. Il fusto è cosparso da peli semi-rigidi, che conferiscono un aspetto rugoso. Le infiorescenze del Papavero, che partono dall'ascella fogliare, sono lunghe, ispide ed erette, tranne alla sommità che si ripiega sotto il peso dei boccioli fiorali. Questi ultimi assomigliano sia per forma, che per dimensione ad una grossa oliva verde da mensa. I fiori del Rosolaccio sono composti da 4 petali Rossi, talvolta macchiati di nero alla base, in corrispondenza degli stami (anch'essi neri). Dopo la fioritura, i Papaveri producono i loro frutti, al cui interno sono conservati i preziosi semi, i quali vengono sparsi dal vento e dagli animali, garantendo il propagarsi delle specie anno dopo anno. L'efficienza riproduttiva è talmente alta che i Papaveri Rossi sono considerati infestanti, colonizzando prati erbosi, margini stradali, campi di grano, ma anche binari ferroviari, fessure tra i mattoni o crepe nei marciapiedi.
La fioritura del Rosolaccio, in Italia, avviene tra fine Aprile e Maggio, ma è fortemente condizionata dall'andamento climatico. In zone con estati fresche, come quelle tipiche dei paesi nord-europei, la fioritura può essere tardiva e prolungata. Qui non è raro vedere fiori di Papavero anche in Giugno, Luglio e talvolta Agosto.
Oltre all'ovvia funzione di "propagazione", i semi di Papavero trovano impiego in cucina, vengono infatti aggiunti a pane, focacce e a qualche dolce, donando un aroma piacevole.

Fiore Papavero Rosso

Coltivazione, Propagazione e Clima :

Il Papavero Comune è ideale per l'inselvatichimento e può essere seminato in autunno. La specie non teme il freddo e può reggere anche geli intensi, germogliando ad inizio primavera. Le specie di Papavero perenni, oltre che per semina, vengono moltiplicate anche per Talea. In quest'ultimo caso le nuove piantine vanno piantate ad inizio primavera.
I Papaveri sono vegetali molto rustici e possono crescere su un'ampia gamma di terreni. Questi fiori amano la luce ed è consigliabile coltivarli in zone assolate, tuttavia hanno un discreto sviluppo anche in zone di mezz'ombra, specie in luoghi torridi ed aridi.
Non temono la siccità, anche perché il loro sviluppo termina prima dell'arrivo delle alte temperature estive; per contro sarebbe meglio evitare zone eccessivamente ventose che danneggerebbero i teneri fiori.
Le precipitazioni primaverili sono più che sufficienti in quasi tutte le zone d'Italia, l'innaffiatura è dunque tranquillamente dispensabile.
Sia le specie annuali (o biennali), sia quelle perenni, seccano in inverno. Nel primo caso la pianta non rinascerà, mentre nel secondo caso spunterà esattamente laddove aveva fiorito l'anno precedente. Per le specie annuali è più difficile fare aiuole fiorite che si "auto-rinnovino" ogni anno, questo perché il vento spargerebbe i semi in maniera casuale, su un'area piuttosto grande. Le perenni, invece, si potranno piantare scegliendo la giusta collocazione, che verrà mantenuta anche negli anni a venire.


Quali sono le specie più diffuse di Papavero? Quali sono le loro differenze? :

  • Papaver rhoeas : Specie più volte nominata nell'articolo. Pianta rustica che produce fiori rossi tra la tarda primavera e l'estate. Diffusa in Italia, dai prati in pianura, fino a quelli di montagna.
  • Papaver alpinum : è diffuso sulle Alpi ed è caratterizzato da un modesto sviluppo, raggiungendo a stento i 15-20 cm (6-8 in). I fiori hanno petali o bianchi o gialli, mentre le antere, ed il loro polline, sono gialle.
  • Papaver nudicaule : noto anche come Papavero Islandese, è nativo delle zone Subpolari d'Europa ed Asia, ma ora particolarmente diffuso in Islanda. La specie selvatica ha fiori di tonalità chiare (giallo paglierino o bianco); tuttavia, a scopo ornamentale, sono state ottenute numerose varietà dai colori più disparati. La pianta contiene elevate quantità di Alcaloidi (una classe chimica, spesso tossica) ed è pertanto potenzialmente velenosa.
  • Papaver somniferum : ovvero il Papavero da Oppio. Sebbene la specie abbia fiori molto ornamentali, dal colore bianco con sfumature viola e lilla, viene coltivata per altri scopi. Dalle pareti dei frutti immaturi di Papaver somniferum si preleva, in seguito ad incisione, una sostanza biancastra, ricca di Alcaloidi (principalmente Morfina e Papaverina). Con questo lattice biancastro si ricava l'Oppio, i cui principi attivi hanno un enorme potenziale farmacologico, ma lo rendono anche una droga a tutti gli effetti; in passato, infatti, veniva utilizzato anche come "energizzante" dai lavorati nelle miniere. Dall'Oppio, oggigiorno, si possono ricavare droghe ancora più distruttive, come l'Eroina
  • Papaver orientale : è una specie perenne, resistente al gelo, originaria dell'Asia centrale. In estate, dopo la sfioritura, le foglie seccano e la pianta "scompare", lasciando una buca. Questo è un meccanismo evolutivo che permette loro di sopravvivere alla siccità estiva.
  • Papaver californicum : questa pianta erbacea è endemica della California. Dotata di antere molto lunghe, vegeta bene in zone aride ed è tra le prime specie a colonizzare zone colpite da incendi.
  • Papaver dahlianum : denominato Papavero delle Svalbard, è il fiore simbolo di questo arcipelago Norvegese. E' tra le poche specie a crescere a latitudini così elevate (78-80° N) e lo si ritrova anche in Groenlandia. Le dimensioni sono più contenute rispetto a quelle di altri papaveri ed i fiori sono di color giallo molto tenue, con sfumature via via più chiare fino al bianco della sommità dei petali.
  • Papaver radicatum : questo papavero cresce ancora più a Nord rispetto al precedente ed è presente a Kaffeklubben Island (83°N), nel Nord della Groenlandia. E' probabilmente il fiore selvatico più vicino al Polo Nord.
Papavero da Oppio Papaver somniferum


Boccioli Papavero Rosso


Papaver rhoeas flowers

Campo Fiorito di Papaveri


mercoledì 19 ottobre 2016

Cosa Vuol Dire Aploide e Diploide? Qual è la Differenza tra Organismi Aploidi e Diploidi?

Molti di voi avranno sentito parlare di Cellule Aploidi o Diploidi o addirittura di interi organismi Aploidi (N) o Diploidi (2N), ma all'atto pratico quali sono le differenze? Cosa si intende per "Ploidia" di una specie?

Facciamo un passo indietro e ricordiamoci che tutti gli organismi viventi (dai batteri ai mammiferi, passando per le piante) possiedono all'interno delle proprie cellule una molecola chiamata DNA, che contiene l'informazione genetica necessaria per il loro sviluppo e la loro sopravvivenza. 
I Geni null'altro sono che "frammenti" di DNA che, fusi tra di loro, formano i Cromosomi.

Partiamo dalla nostra specie; l'Homo sapiens è un organismo Diploide che possiede 46 Cromosomi, tuttavia sono 23 paia di Cromosomi, ovvero ne abbiamo una coppia per ogni "tipo" di cromosoma. (Sebbene la ventitreesima coppia, sia composta da Cromosomi sessuali che, nel caso dei maschi, sono diversi e vengono indicati come Cromosoma X e Cromosoma Y, ma non soffermatevi su questo dettaglio che è ininfluente per capire il concetto di "Aploide-Diploide"). L'insieme di tutti i cromosomi di una specie viene detto Cariotipo.

Cariotipo Umano


Ma  cosa vuol dire questo?

Supponiamo che il Cromosoma 1 contenga il Gene "Colore degli Occhi" e il Gene "Colore dei Capelli" (nella realtà ci sono centinaia di geni su ogni cromosoma). Ognuno di noi avrà due Cromosomi 1 e, di conseguenza, 2 Geni "Colore Occhi" e 2 "Geni Colore Capelli". La stessa cosa potremmo pensarla anche per i restanti cromosomi.

Gli Alleli sono le varianti di uno stesso Gene, se prendiamo un'intera popolazione ed analizzassimo il "Gene Colore Occhi", presente sul Cromosoma 1, noteremmo che esistono più alleli, ad es:


  • Gene Colore Occhi "Blu"
  • Gene Colore Occhi "Verdi"
  • Gene Colore Occhi "Marroni"
  • Gene Colore Occhi "Neri"

Ogni organismo Diploide contiene sempre e solo 2 alleli (uno per cromosoma) per ogni gene. Se un individuo ha due alleli identici per un determinato gene si definisce Omozigote, altrimenti si definisce Eterozigote per quel carattere e, in quest'ultimo caso, prevarrà l'allele dominante.


Esempio:

Individuo 1, Omozigote, entrambi alleli "Occhi Blu", avrà gli occhi Blu
Individuo 2, Omozigote, entrambi alleli "Occhi Marroni", avrà gli occhi Marroni
Individuo 3, Eterozigote, ha un allele "Occhi Marroni" e uno "Occhi Blu". In questo caso l'allele "Occhi Marroni" è dominante (e conseguentemente "Occhi Blu", recessivo), quindi l'individuo 3 avrà gli occhi Marroni, come l'individuo 2.

Gli alleli che si posseggono formano in Genotipo, mentre l'aspetto esteriore di un carattere viene chiamato Fenotipo. Nell'esempio sopra l'individuo 2 e 3 hanno lo stesso fenotipo ("Occhi Marroni"), pur avendo un diverso genotipo.


Alcuni Alleli dominanti o recessivi per l'uomo



In  molti geni non ci sono più alleli, ma ce ne è uno solo. In questo caso, tutti gli uomini, sono omozigoti per quel gene e ne contengono due copie identiche.


Lo stesso discorso vale per TUTTI gli organismi Diploidi, una Pianta Diploide avrà 2 coppie di ognuno dei suoi geni.


Ma che vantaggio c'è nell'essere Diploidi?

Per prima cosa avere una coppia di ogni gene potrebbe permettere la sopravvivenza, anche qualora uno dei due fosse mutato o non funzionante. In secondo luogo, come spiegherò a breve, ciò permette di avere una maggiore variabilità genetica, grazie alla riproduzione sessuata.

Prendiamo una pianta diploide, tutte le sue cellule conterranno 2N cromosomi, dove N è il numero di "paia" di Cromosomi e varia da specie a specie. Ad esempio l'Albicocco, ha 8 paia di Cromosomi e, in totale, ogni sua cellula ha 2 x 8 = 16 Cromosomi.
Potremmo dire che il corredo cromosomico "Aploide" dell'Albicocco è N = 8, oppure che il suo correndo cromosomico "Diploide" è 2N = 16, mentre la Betulla ha 2N = 28 o N = 14 etc..


Ma quindi tutte le cellule dell'Albicocco sono diploidi?

Quasi tutte, ma non tutte. Le cellule che daranno origine alle cellule sessuali maschili (Polline) ed alle cellule sessuali femminili (Ovuli), vanno incontro ad un processo noto come Meiosi, tramite cui una cellula "diploide" si trasforma in una cellula "aploide", dimezzando il numero dei propri cromosomi.

Tutte le cellule sessuali sono aploidi, ovvero ogni granulo di polline ed ogni cellula uovo del fiore, contengono solo 1 un cromosoma di ogni coppia di cromosomi.

Facciamo un esempio pratico:
tutte le cellule che compongono le foglie, i rami, i frutti e le radici della nostra pianta diploide (nell'esempio l'Albicocco) conterranno 2N cromosomi. Sotto sono indicate le 8 paia di cromosomi (con i numeri dall'1 all'8), mentre i due cromosomi di ogni coppia sono indicati con la lettera A, oppure B. Tutte le cellule diploidi di una stessa pianta hanno esattamente gli stessi cromosomi.


1A-1B
2A-2B
3A-3B
4A-4B
5A-5B
6A-6B
7A-7B
8A-8B



Le cellule sessuali (Polline ed Ovuli) avranno solo uno dei due cromosomi 1 (o 1A o 1B), solo uno dei due cromosomi 2 (o 2A o 2B) e così via. Dato che prendere A o B è un evento casuale, si intuisce che praticamente ogni cellula sessuale avrà un diverso assortimento di Cromosomi.


Per esempio un granulo di Polline potrebbe avere i seguenti Cromosomi:


1B
2A
3B
4B
5B
6A
7A
8B

Mentre un altro potrebbe avere:

1A
2A
3B
4A
5B
6B
7B
8A



Durante l'impollinazione, una cellula di polline (Aploide) feconda un ovulo (Aploide). Questa fusione ripristina la Diploidia (N + N = 2N), permettendo lo sviluppo di una nuova pianta. Il fatto che ogni cellula di polline (ed ogni ovulo) non sia identico all'altro, fa si che ogni seme sia un po' diverso da un altro, generando una pianta un po' diversa da un'altra, sebbene la pianta madre sia la stessa (clicca qua per maggiori dettagli).

Riproduzione Sessuale



Nelle piante superiori, così come nell'uomo, l'organismo intero è Diploide e le cellule sessuali (Aploidi) non potrebbero vivere vita autonoma. Ma alcune piante, come le Alghe e le Felci, possono svilupparsi e crescere, alternando una fase Aploide (Gametofito), con una Diploide (Sporofito), in un meccanismo noto come Ciclo Aplodiplonte
Altre piante, invece, sono addirittura poliploidi; ad esempio i Banani, che producono le banane che tutti noi mangiamo, sono triploidi (3N) e sterili. Ogni loro cromosoma è presente in triplicato.

I Batteri, i Protozoi, ma anche altri organismi esistono solo nella forma Aploide (N).

Negli Animali pluricellulari esistono casi particolari, come ad esempio quello dell'Ape (Apis mellifera).
L'Ape Regina è diploide (2N), mentre  le sue uova sono aploidi (N). Queste uova possono essere fecondate o meno ma, in entrambi i casi, daranno origine ad una nuova ape. Se non vengono fecondate rimangono Aploidi ed originano il maschio dell'Ape (Fuco), se invece vengono fecondate si sviluppa l'Ape femmina, che è Diploide. Quindi, in questa specie, il sesso dell'Ape è determinato dalla ploidia. Fuco (N) e Ape Femmina (2N).

Ciclo Aplodiplonte

venerdì 14 ottobre 2016

Come Coltivare il Fico d'India (Opuntia ficus-indica)? Dove Cresce in Italia?

Il Fico d'India (Opuntia ficus-indica) è una pianta grassa che, sul finir dell'estate, produce squisiti frutti, oggigiorno facilmente acquistabili in ogni supermercato.

Come si coltiva il Fico d'India? Dove può essere piantato in Italia? Qual è il suo clima ideale? Resiste al freddo intenso? Qual è il periodo di raccolta?

Fichi d'India



Origine e Diffusione :

Poiché il Fico d'India è coltivato, a scopo alimentare, sin da tempi antichi, la sua esatta origine geografica non fu facilmente individuabile. Ai giorni nostri le ricerche sono però concordi nel ritenere che la specie Opuntia ficus-indica sia originaria degli aridi altopiani del Messico, da dove fu importata in Europa già nel sedicesimo secolo e diverse fonti citano la sua presenza in Marocco già oltre 400 anni fa.
Per i nativi messicani la specie era nota come cactus "Nopalli", mentre il suffisso "d'India" fu coniato in seguito, da Cristoforo Colombo, il quale pensava di esser approdato in India.
Oggigiorno il Fico d'India è particolarmente diffuso in tutto il bacino Mediterraneo, nel Nord Africa, in California e Texas, nel Sud America ed in Medio-oriente, ma è presente un po' in tutte le zone miti ed aride del Mondo, persino in Namibia.
Il Fico d'Indio, in Italia, è comune in tutto il Mezzogiorno, tanto da diventare uno dei simboli della Sicilia, ciò nonostante prospera e ben si sviluppa anche nelle zone costiere poste a latitudini maggiori e persino nei microclimi più miti del Nord Italia, come ad esempio sulle sponde più riparate del Lago Maggiore.
La coltivazione del Fico d'India si concentra in Sicilia, rendendo così l'Italia uno dei maggiori produttori ed esportatori a livello mondiale.

Frutti Maturi Fico d'India

Nuova Pala Fico d'India
Biologia e Fisiologia :

Opuntia ficus-indica è il nome scientifico della pianta comunemente chiamata Fico d'India (o Ficodindia); ma non facciamoci trarre in inganno dal nome, i Fichi d'India non sono minimamente imparentati con i classici Fichi (Ficus carica), l'unica cosa che condividono è l'areale di crescita.
Opuntia ficus-indica appartiene alla famiglia delle Cactaceae ed al genere Opuntia, il quale annovera numerose specie di Cactus, utilizzate prevalentemente a scopo ornamentale. Opuntia ficus-indica, pur non essendo l'unica specie a produrre frutti commestibili, è l'unica pianta del genere per cui valga la pena la coltivazione come pianta da frutto.
Tra le oltre 200 specie del genere Opuntia, sono molte quelle che donano frutti "mangiabili"; ciò non vuol necessariamente dire che abbiano un buon sapore, ma semplicemente che non siano tossici. Un esempio è l'Opuntia cardiosperma, la quale produce frutti commestibili e di bell'aspetto, ma dal gusto particolarmente aspro.

Il Fico d'India è una pianta succulenta che raggiunge un'altezza media di circa 4 m (13 ft), con un notevole sviluppo orizzontale.
Il fusto è rappresentato da cladodi (noti come "Pale"), ovvero rami modificati che suppliscono alle funzioni normalmente ascrivibili alle foglie.
I cladodi dell'Opuntia ficus-indica hanno una consistenza coriacea, una forma ovale ed appiattita e possono misurare fino a 50 cm (1,6 ft) e, pur non essendo foglie, svolgono la Fotosintesi Clorofilliana.
Le Pale, al fine di limitare la perdita d'acqua, sono ricoperte da cera e fungono da veri e propri serbatoi. Un altro meccanismo evolutivo che ha permesso loro di svilupparsi in ambienti così aridi è noto come "Fotosintesi CAM" ed è condiviso anche da altre specie come Agave ed Ananas.
Per capire come funziona dobbiamo ricordarci che, nella fotosintesi, si produce ossigeno (O2) e glucosio (C6H12O6), mentre si consuma acqua (H2O) ed anidride carbonica (CO2).
In tutte le piante gli scambi gassosi con l'ambiente avvengono tramite particolari fessure, chiamate Stomi, che possono essere aperte o chiuse.
L'apertura degli stomi permette il passaggio di CO2 (che entra) e di O2 (che esce), ma anche la perdita di acqua, tramite traspirazione.
Nelle piante normali gli stomi sono aperti durante il giorno, permettendo lo svolgimento della fotosintesi. Invece, le piante con metabolismo CAM, tra cui appunto i Fichi d'India, mantengono gli stomi chiusi durante il giorno, mentre li aprono durante la notte. In altre parole sono in grado di assorbire CO2 di notte ed immagazzinarla per il giorno seguente, quando sarà nuovamente disponibile luce per svolgere la fotosintesi.
Questo è un perfetto esempio di adattamento Xerofitico, di notte, infatti, l'umidità atmosferica è superiore e le temperature inferiori, limitando di fatto la perdita d'acqua dai tessuti. Tutto ciò si traduce in un netto risparmio; la quantità di acqua necessaria per trasformare 6 molecole di CO2 in una di C6H12O6 è fino a 5 volte inferiore, rispetto alle piante con un normale ciclo fotosintetico.

Le Pale "spuntano" da altre Pale, un po' come, nelle "piante classiche", i rami si generano da altri rami. Il Fico D'India ha una crescita veloce e risulta formato da numerosi cladodi fusi l'un l'altro, dando l'impressione che sia una pianta priva di tronco e rami.
E' importante menzionare il fatto che i cladodi svolgono la funzione di "foglie" solo nei primi anni di vita, dal quarto anno in poi, infatti, lignificano, cessano l'attività fotosintetica ed acquisiscono un ruolo prettamente strutturale, come fossero dei veri e propri tronchi.

Cladodi e Spine Opuntia ficus-indica


Ma  allora i Fichi d'India, ed in generale i Cactus, non hanno mai foglie?

Anche se all'apparenza non sembrerebbe, anche Opuntia ficus-indica produce delle "vere" foglie. Queste sono verdi, ricurve, di dimensioni assai contenute (pochi millimetri) e dalla vita estremamente effimera; infatti sono presenti solo sulle nuove pale e cadono nel giro di pochi giorni.
In altri termini, le foglie degli Opuntia, sono un retaggio evolutivo e si possono considerare degli organi vestigiali, ovvero organi che in un antico antenato avevano un ruolo, ma col passare del tempo hanno perso la loro funzione. In effetti la presenza di "vere" foglie comporterebbe un cospicuo dispendio di acqua che, in un ambiente desertico, non permetterebbe loro di sopravvivere.
Analisi genetiche hanno dimostrato che molte specie di Cactus possiedono ancora i geni per un corretto sviluppo delle foglie, ma questi geni sono "tenuti" spenti, facendo così cadere le foglie negli stadi precoci.
Le foglie, prima di cadere, sono riunite in "ciuffetti", alla cui base si trovano particolari strutture, dette areole, che altro non sono che ascelle fogliari modificate. Dal tessuto che compone le areole si sviluppano due tipi di spine: glochidi e le spine vere e proprie.
Areole Fico d'India
I glochidi sono esili spine setolose a forma di uncino, molto irritanti e a comportamento caduco, ovvero, qualora fossero urtate da qualche animale intento a cibarsi delle succulente pale, si conficcherebbero nella pelle del malcapitato, provocando bruciore, irritazione e dolore. Inoltre la loro conformazione e struttura, renderebbe difficile l'estrazione, lasciandole all'interno della cute per molto tempo. Le "vere" spine hanno una lunghezza di un paio di cm (0.8 in), ovvero circa 10 volte più grandi rispetto ai glochidi, sono di colore bianco-grigiastro, saldamente ancorate alle pale, rigide e cave all'interno. Il loro scopo, più che irritare, è quello di provocare delle ferite. Esistono varietà di Opuntia ficus-indica, quasi prive di quest'ultima categoria di spine.

Ogni cladode contiene in media un centinaio di areole, il cui tessuto, oltre a generare spine, si può differenziare anche in germogli e foglie (ovvero formare nuove pale), in radici avventizie e persino in fiori.

Ricapitolando, il Fico d'India è una pianta succulenta che ha dei tronchi/rami che in realtà assomigliano e svolgono la funzione delle foglie, delle vere foglie che durano pochi giorni e che vengono sostituite da spine. Insomma una pianta un po' diversa da quelle "classiche", che si conoscono sin da bambini.

I Fiori del Fico d'India sono ermafroditi, a forma di coppa, con petali generalmente gialli, ma talvolta anche rosa o arancione tenue e si formano dalle areole presenti sui cladodi. Questi fiori hanno un diametro di circa 5 cm (2 in), stami ben sviluppati  e, con il loro polline e nettare, attraggono numerosi insetti pronubi, i quali provvedono all'impollinazione.
La fioritura avviene nella tarda primavera (Maggio-Giugno), ma qualche fiore isolato può aprirsi anche nel periodo autunnale.
Se si eliminano i fiori della prima fioritura (operazione nota come scozzolatura), lo stress indurrà una seconda fioritura, che genererà frutti tardivi, chiamati "Bastardoni", particolarmente ricercati per la loro bontà e la minor quantità di semi.
La localizzazione dei fiori non è casuale, infatti i fiori si originano generalmente all'estremità delle pale e ce ne possono essere fino a 30 su ogni singola pala, sebbene spesso se ne contino circa una decina.
La fioritura è concentrata sulle pale di un anno di età, ciò nonostante possono fiorire anche quelle di 2-3 anni, raramente quelle dell'annata. Inoltre le fioriture più copiose avvengono sui cladodi meglio esposti ai raggi solari.

Fioritura Fico d'India

Fiore Opuntia ficus-indica

Opuntia ficus-indica Flower



I Frutti del Fico d'India sono delle bacche carnose di forma cilindrica più o meno allungata a seconda del periodo di maturazione, della varietà e dell'esposizione al Sole ed, in Italia, maturano tra Agosto e Settembre ("Agostani") o, in seguito a scozzolatura, tra Ottobre e Novembre ("Bastardoni").
Sebbene verdi da acerbi, a maturazione i frutti possono aver diverse colorazioni, sia della buccia, sia della polpa, dal bianco-giallo, sino al rosso porpora.
Sull'epidermide dei frutti si trovano numerosi glochidi, i quali rendono complicata la raccolta, rendendo indispensabile l'uso di spessi guanti. La polpa è commestibile, saporita e dal gusto dolce, tuttavia in essa sono immersi innumerevoli piccoli semi (anche 300 per frutto), di consistenza coriacea, che rendono ostica la masticazione. Sarebbe auspicabile selezionare nuove varietà che abbiano meno semi o che ne siano addirittura prive (Apirene) ma, negli anni, non credo si siano fatti particolari sforzi in questa direzione.
Contrariamente a quel che si credi, l'apparato radicale dell'Opuntia ficus-indica è poco profondo e localizzato, prevalentemente, nel primo mezzo metro di suolo (20 in). Per contro queste radici sono molto espanse, robuste ed in grado di sgretolare la roccia o inserirsi nella più minuscola fessura.

Frutti Maturi Fico d'India

Polpa e Semi Opuntia ficus-indica



Coltivazione, Clima, Potatura e Cure :

Opuntia ficus-indica è una pianta succulenta e, come tale, si è evoluta per crescere in ambienti molto aridi, se non quasi desertici. Il loro habitat naturale è rappresentato dai pendii assolati di zone miti e secche, tuttavia l'ambiente di coltivazione della specie si è esteso notevolmente, tanto da poter esser considerata naturalizzata in tutte le zone a clima Mediterraneo.
Nella realtà il Fico d'India ha una resistenza al freddo più alta di quanto comunemente si pensi, e non subisce danni da freddo fino a temperature di -6° C (21° F) e, se per brevi esposizioni, non muore neppure con temperature minime inferiori. Ciò nonostante, per una produzione ottimale, è consigliabile coltivarli solo in zone in cui raramente le temperature invernali scendano sotto gli 0° C (32° F). In altre parole hanno una rusticità paragonabile a quella degli Agrumi meno resistenti al gelo (ad es. Limone).
Tuttavia, in ambienti tropicali, la produzione fruttifera sarebbe limitata; questo perché le basse temperature favoriscono lo sviluppo di fiori. E' stato osservato che, nel range di temperatura tra 5 e 15° C (41-59°F) la produzione di fiori è circa 10 volte superiore rispetto alla produzione di nuove pale, tra 15 e 25° C (59-77° F) vi è un'egual produzione, mentre tra 25 e 35° C (77-95° F) le nuove pale sono 10 volte superiori ai fiori. Riassumendo, le basse temperature favoriscono la produzione di organi riproduttivi, mentre le alte quelli degli organi vegetativi.
Il Fico d'India può crescere in zone torride, senza subire danni e sopportare temperare massime che ucciderebbero la maggior parte delle altre piante. Questi Cactus, infatti, riescono a sopravvivere anche con temperature superiori ai 50° C (122° F), alcuni autori riportano che le cellule di questa pianta possano non morire, anche dopo brevi esposizioni a 65° C (149° F).
Opuntia ficus-indica è una specie spiccatamente eliofila e un'esposizione in pieno Sole è consigliata. All'ombra la crescita è stentata e la produzione di fiori (e frutti) nulla.
Come più volte accennato, questa Cactacea è assai resistente alla siccità e può crescere su un'ampia gamma di terreni, pur preferendo quelli sabbiosi o rocciosi, ben drenanti, a pH neutro o leggermente alcalino; inoltre è nota la sua tolleranza alla salinità del suolo e alla salsedine dell'aria, non a caso è presente sui declivi costantemente esposti alle brezze marine. La concimazione a base organica, pur aumentando le rese, non è necessaria.
Frutticini Fico d'IndiaLa potatura va effettuata dopo la fruttificazione e prima della ripresa vegetativa. Si effettua eliminando le Pale maldisposte, che si incrociano od entrano in contatto, nonché quelle danneggiate dagli agenti atmosferici.
Il Fico d'India è piuttosto resistente nei confronti dei patogeni e può fruttificare anche senza trattamenti chimici. Ciò nonostante può essere attaccato da più specie di insetti fitofagi appartenenti al genere Dactylopius. Queste cocciniglie, tramite la saliva, iniettano nei cladodi una sostanza tossica, che provoca la comparsa di numerose macchie biancastre dall'aspetto cotonoso. La Mosca Mediterranea della Frutta (Ceratitis capitata) sverna solo nelle regioni più miti d'Italia, le larve della specie si nutrono della polpa dei frutti, preferendo quelli zuccherini e privi di acidità. I Fichi d'India maturano in un periodo in cui molti altri frutti estivi "dolci" sono già maturati, diventando così un ottimo bersaglio per questo insetto.
Temperature invernali sub-letali, possono inibire la fruttificazioni e i ristagni idrici (poco tollerati) facilitano l'attacco di funghi e provocano marciumi radicali.

Frutti Immaturi estremità Pale


Frutti Immaturi sui cladodi

Varietà, Riproduzione ed Utilizzi :

In Italia sono presenti essenzialmente tre tipi di cultivars: Muscaredda (Bianca), Sulfarina (Gialla) e Sanguigna (Rossa), che si differenziano per la colorazione dei frutti e della loro polpa. Esiste anche una varietà chiamata "Apirena", un nome ingannevole, dato che questa non è senza semi, ma ne ha semplicemente meno.
Il Fico d'India è facile da propagare, i suoi cladodi (o anche dei frammenti) radicano molto velocemente, è dunque semplice la riproduzione per via vegetativa, tramite Talea. La pianta si può moltiplicare anche tramite semina, tuttavia, qualora si volesse una cultivar specifica, si dovrà ricorrere al primo metodo.
Il fatto che i frutti abbiano numerosi semi e che le pale, a contatto col suolo, formino facilmente nuove radici, ha permesso una veloce diffusione della specie che, nelle condizioni climatiche ottimali, è diventata addirittura infestante, crescendo persino tra le rocce.
Piante moltiplicate tramite talea iniziano a fruttificare a partire dal terzo anno e rimangono altamente produttive fino a circa 35-40 anni di età.
Opuntia ficus-indica è una pianta coltivata, prevalentemente, per la produzione dei Fichi d'India, soprattutto in zone aride in cui poche altre piante fruttificherebbero. Si possono ottenere frutti, senza irrigazione, anche in zone in cui cadono meno di 300 mm/anno, ovvero la metà di quelli che cadono a Catania.
La specie ha un ottimo rapporto Biomassa/Acqua e si stima che possa produrre 1 kg di Biomassa secca (peso dopo disidratazione) ogni 150 litri di acqua consumata. Questa peculiarità, se sfruttata a dovere, porterebbe alla produzione di grandi quantità di Biogas e Bioetanolo. Purtroppo, in Italia, la specie è spesso abbandonata a sé stessa, ma non è così in tutto il mondo, nel Sud America (Cile e Brasile) vi sono impianti di Biogas, alimentati dalla Biomassa prodotta da questo Cactus. Anche i semi trovano impiego, essi contengono infatti sino al 30% di Olio.
In Italia, oltre ai frutti, vengono utilizzate anche le Pale, sia come foraggio per gli animali, sia per l'alimentazione umana. In ultimo non dimentichiamoci la bellezza della specie, che permette il suo impiego anche come pianta ornamentale in giardini privati, orti e parchi pubblici.

Frutti in Maturazione Ficodindia

Opuntia ficus-indica

Pala Fico d'India

lunedì 3 ottobre 2016

Margaronia o Tignola Verde dell'Olivo (Palpita unionalis), Che Danni Provoca ai Germogli e alle Nuove Foglie?

L'Ulivo (Olea europaea), la pianta simbolo del Mediterraneo, è soggetta all'attacco da parte di diversi patogeni, sia animali che fungini.
Tra tutti i parassiti, la Margaronia dell'Olivo (Palpita unionalis) è facilmente riconoscibile dai danni provocati. Questo insetto attacca i germogli, i rami in allungamento e le nuove foglie che, a prima vista, sembrano "mangiucchiate", mentre le vecchie foglie risultano perfettamente sane.
Nella maggior parte dei casi, le lesioni sono quindi localizzate sull'apice vegetativo e non diffuse su tutta la pianta.
Questa malattia, a volte, può essere confusa con quella provocata da un Coleottero, noto come Oziorrinco dell'Olivo. Tuttavia, in quest'ultimo caso, le foglie sono mangiate in maniera più simmetrica e possono essere colpite massicciamente anche foglie già sviluppate.

Qual è il ciclo biologico del Palpita unionalis? Quali specie sono maggiormente colpite? Come si può prevenire o combattere la Margaronia dell'Olivo? Quali effetti si hanno sulle piante e sulla produzione di Olive? Come difendere le piante colpite?

Foglie Olivo colpite da Margaronia



Ciclo Biologico del Parassita:

La malattia causata dagli insetti della specie Palpita unionalis è nota con diversi nomi; Tignola Verde dell'OlivoMargaronia dell'OlivoPiralide dell'Olivo.
Palpita unionalis è un insetto che appartiene all'ordine dei Lepidotteri ed è diffuso in tutto il Bacino Mediterraneo, dalla Spagna, alla Grecia, passando per l'Italia.
L'adulto di questa specie è una sorta di farfalla di colore biancastro che, diversamente dalle sue larve, non arreca danni alle piante. Questa "farfallina" compare nei campi ad inizio Primavera, ma la sua individuazione è un evento raro. Questo perché, di giorno, la Palpita unionalis rimane nascosta nel fogliame e solo all'imbrunire esce per cibarsi di nettare e di altre sostanze zuccherine.
Dopo l'accoppiamento vengono deposte le uova che, a temperatura ottimale (circa 25°C o 77° F), si schiudono nel giro di 3-4 giorni, tuttavia a temperature di 10° C (50° F) possono impiegarci anche un mese.
Le larve di Margaronia, inizialmente gialle, si accrescono nutrendosi dei teneri germogli dell'Olivo. Esse compiono 4 mute e, nell'ultimo stadio, sono in grado di mangiare anche foglie più coriacee e persino frutti.
Palpita unionalis riesce a compiere, a seconda del clima, 4 o 5 generazioni all'anno, ognuna delle quali dura in media 35 giorni. Lo svernamento avviene in tutti gli stadi larvali successivi alla prima muta, così come Crisalide (Pupa), ma mai nello stadio adulto.

Larva Palpita unionalis

Adulto Palpita unionalis



Danni e Piante Colpite:

La Tignola Verde è in realtà una specie polifaga che, oltre a colpire l'Olivo, attacca anche altre specie della stessa famiglia (Oleaceae), quali Frassino, Gelsomino e Ligustro.
Più raramente sono stati osservati attacchi anche a specie di altre famiglie, come Apocynaceae, Ericacea Umbelliferae.
La Margaronia causa danni che, estetica a parte, sono spesso trascurabili. Tuttavia, vi è una forte correlazione tra età delle piante e gravità della malattia e, in alcune condizioni, i danni possono diventare seri.                    
I problemi maggiori si hanno con giovani esemplari, con piante appena innestate o con Olivi che hanno subito una drastica potatura (Capitozzatura); in altre parole in tutti quei casi in cui la "nuova" vegetazione, che è quella preferita dal parassita, prevale sulla "vecchia".
Se questo patogeno "divora" i nuovi germogli, può compromettere la riuscita di un innesto, oppure modificare la forma d'allevamento nei nuovi impianti.
Se l'attacco è massiccio anche le piante "adulte" possono subire danni: in primis le Drupe diventano "cibo" per gli stadi larvali terminali, compromettendo così la loro maturazione; in secondo luogo attacchi tardivi possono indurre un ritardo nella ripresa primaverile, che si può ripercuotere sulla produzione dell'annata successiva.

Infine non dimentichiamoci dell'aspetto estetico, una pianta ornamentale è tale anche per la bellezza delle sue foglie. Una bella pianta di Ligustro o di Gelsomino le cui foglie, dopo esser state mangiate, sono ridotte ad una "lisca di pesce", diventano oggettivamente brutte alla vista.

Margaronia foglie Ligustro


Difesa e Lotta Biologica:

Trattamenti chimici, su Olivi adulti, sono sconsigliabili in quanto, come detto in precedenza, raramente la Margaronia comporta gravi perdite in termini di resa. In questi casi, semmai, è consigliabile una buona potatura, come ad esempio la "spollonatura" che, eliminando i vigorosi polloni che generano molte nuove foglie, riduce la quantità di "cibo disponibile" per le larve.
Palpita unionalis ha diversi antagonisti naturali. Molto attive risultano diverse specie del genere Apanteles e Nemorilla (ad es. Apanteles xanthostigmus o Nemorilla maculosa), tuttavia molte di esse parassitano l'insetto della Margaronia, uccidendolo solo negli stadi larvali finali.
Questo tipo di lotta biologica è utile per impedire la diffusione e la riproduzione della Tignola Verde, ma non riduce efficacemente i danni, qualora l'infezione fosse già in atto.
Nelle fasi iniziali dell'infezione può essere impiegato il batterio sporigeno Bacillus thuringiensis, il quale produce delle tossine innocue per l'uomo, ma  nocive per gli stadi giovanili delle larve di Palpita unionalis.
I trattamenti devono essere fatti precocemente, in quanto gli stadi larvali tardivi (III° e IV° stadio) sono poco sensibili a Bacillus thuringiensis.
Altri predatori sono rappresentati da diverse specie di ragni e da Syrphus corollae, un sirfide le cui larve si nutrono di quelle della Tignola Verde.
Trattamenti chimici specifici vengono, normalmente, evitati, anche perché risultano efficaci quelli utilizzati per combattere l'infezione di un altro insetto (la Mosca dell'Olivo).
In casi estremi (forti attacchi, su nuovi impianti monocauli o su giovani innesti di piante in Vivaio) si sono dimostrati efficienti Methidathion Tetrachlorvinphos ed, in generale, è bene utilizzare insetticidi che agiscano localmente e che non vadano in circolo, agendo in maniera circoscritta al punto di applicazione.
Il trattamento deve essere ripetuto più volte, in Aprile, a fine Giugno ed in Agosto.

Danni Margaronia Foglie

Tignola Verde dell'Olivo


lunedì 26 settembre 2016

Bignonia (Campsis radicans), Come Coltivare un Rampicante dai Fiori Arancioni ?

I fiori hanno i colori più disparati eppure, alcuni sono più frequenti di altri. Volete una pianta che faccia fiori arancioni durante l'estate e che sia pure rampicante? Se la risposta è affermativa la Bignonia (Campsis radicans o Campsis grandiflora) potrebbe far per voi.

Ma come si coltiva la Bignonia? Dove può crescere in Italia? Quali cure necessita per aver abbondanti fioriture? Quali temperature regge?

Fioritura Bignonia radicans


Origine, Diffusione ed Ibridi :

Prima di tutto dobbiamo fare un distinguo, col nome Bignonia ci riferiamo essenzialmente a due specie, entrambe appartenenti al genere Campsis, ovvero la C. radicans e la C. grandiflora.
Queste due piante, sebbene abbiano un aspetto molto simile, hanno grosse differenze sia di origine, sia di rusticità.

Quali sono le differenze tra Campsis radicans Campsis grandiflora ?

La Campsis radicans, la più diffusa in Italia, è nativa dell'America del Nord, dove cresce spontanea nella parte orientale degli Stati Uniti, sviluppandosi ai margini dei boschi, arrampicandosi sugli alberi. In alcuni stati è così nota, tanto da meritarsi il nome di uno di essi: "Gelsomino della Virginia".
La Campsis grandiflora, invece, è originaria dell'estremo oriente dell'Asia e cresce  in Cina e Giappone.

La Campsis radicans, detta anche Tecoma radicans, ha fiori simili a quelli della C. grandiflora, ma in quest'ultima sono più larghi, dalla forma meno "ad imbuto" e più numerosi.
L'altra grossa differenza riguarda la resistenza al freddo e la vigoria, entrambe superiori nella Campsis radicans.
Infine la Campsis grandiflora produce meno radici avventizie e viticci, ha quindi maggiori difficoltà ad arrampicarsi su superfici con pochi appigli, inoltre la sua fioritura è leggermente più precoce rispetto a quella della C. radicans.

Circa a metà '800, gli ibridatori incrociarono C. radicans con C. grandiflora, ottenendo un ibrido a cui fu dato il nome di Campsis x tagliabuana. Questo nome fu attribuito in onore dei fratelli Tagliabue, presso la cui azienda vivaistica, il botanico Roberto De Visiani, ottenne l'ibrido.
Campsis x tagliabuana, nota anche con l'appellativo "Madame Galen" (la varietà più diffusa), rappresenta il perfetto connubio tra le due specie, unendo le migliori caratteristiche di entrambe.
Questo ibrido ha fiori grandi e numerosi (come C. grandiflora), sebbene la pianta abbia rusticità, vigoria e resistenza al freddo paragonabili a quelli della  C. radicans.

Oggigiorno la Bignonia, nota anche come "Trombetta rampicante", è cresciuta a scopo ornamentale in tutta Italia ed in buona parte delle zone temperate del Mondo, dove è ampiamente utilizzata come rampicante per decorare muretti, recinzioni e pergolati.


Botanica e Fisiologia :

Entrambe le specie di Bignonia sono arbusti rampicanti decidui.
Ora, salvo diversamente indicato, mi riferirò alla più diffusa: Campsis radicans, tuttavia tolte le differenze sopraelencate, i tratti in comune tra le due specie sono molti.

Campsis radicans flowersLa Bignonia appartiene alla famiglia delle Bignoniaceae e, se lasciata crescere liberamente può raggiungere un'altezza di 12 m (40 ft).
Le foglie, che possono raggiungere una lunghezza di circa 30 cm (12 in), sono caduche, alternate, pennate ed ognuna composta da 4-6 paia di foglioline. Il nuovi tralci crescono in maniera assai vigorosa e con molti viticci (meno nella C. grandiflora), i quali permettono una presa efficace.
Sebbene esistano varietà dai fiori gialli (Es. "Flava"), la maggior parte delle Cultivars ha fiori con sfumature che variano dal Rosso tenue all'Arancione. I fiori della Begonia, larghi fino ad 8 cm (3 in), sono riuniti in racemi che appaiano all'apice dei nuovi tralci. Essi hanno una forma piuttosto particolare, allungata alla base e larga alla sommità, ricordando un imbuto o una trombetta e sono piuttosto simili ad un altro fiore, il Vilucchio.
Questi fiori, per essere di piante da climi temperati, hanno un altissimo contenuto di nettare, il quale attira numerosi insetti pronubi.
La fioritura, dato che avviene sulla vegetazione dell'anno, non comincia prima di Giugno, tuttavia è piuttosto duratura, garantendo fiori per l'intera estate e, nei climi più caldi, anche per le prime settimane d'autunno. Ciò nonostante il picco massimo di produzione fiorale coincide con il primo flusso vegetativo.
Campsis radicans produce dei frutti che possono ricordare, sia per forma che per dimensione, i baccelli delle Fave. All'interno di essi sono contenuti molti semi dalla forma appiattita e con una sorta di ali alla loro estremità. Questo permette loro di essere efficacemente trasportati dal vento e di poter germinare lontano dalla pianta madre.

Gemme Bignonia

Boccioli Campsis radicans



Coltivazione, Clima e Cure :

La Bignonia è una pianta rustica, facile da coltivare ed, in Italia, può essere piantata praticamente ovunque. La C. radicans ha un'ottima resistenza al gelo e può sopportare temperature minime inferiori ai -30° C (-22° F), mentre la C. grandiflora è leggermente più sensibile e sarebbe meglio coltivarla in zone USDA non inferiori a 7, corrispondenti a circa -15° C (5° F).

L'esposizione ideale, nonché quella che garantisce una copiosa fioritura, è in pieno Sole; tuttavia in ambienti molto caldi ed assolati, come quelli del Sud Italia, la si può coltivare anche a mezz'ombra.
Le Campsis hanno una buona resistenza alla siccità e, una volta affrancate, possono sopravvivere a lunghi periodi senza piogge. Ciononostante, dopo settimane di Sole ininterrotto, un'annaffiatura può giovare al suo aspetto ed aumentare la quantità di fiori prodotti.
Come detto in precedenza, questa pianta ha un'elevatissima vigoria che rende indispensabile un'energica potatura. Il periodo miglior per potarla è l'inverno, quando la pianta ha perso le foglie ed è in riposo vegetativo. La potatura può essere anche drastica e, dato che la fioritura avviene sulla vegetazione emessa in primavera, non ne compromette la successiva produzione di fiori.
La Bignonia può crescere su un'ampia gamma di terreni, anche moderatamente poveri, tuttavia è essenziale che siano ben drenanti.
Foglie Campsis BignoniaLa concimazione, almeno in terreni "medi", non è necessaria, ma qualora si volesse aumentare la fertilità del suolo potrebbe essere utile usare lo stesso tipo di concime, ricco di Potassio (K), usato per le Rose o per altre Piante da Fiore. Questo rampicante si può coltivare anche in prossimità del Mare in quanto è resistente alla salsedine, presente nell'aria. La Bignonia, date le sue dimensioni, mal si presta ad essere coltivata in vaso, preferendo la messa in campo.

Tronco Campsis Bignonia

Varietà e Riproduzione :

Esistono innumerevoli cultivars di Bignonia, che si differenziano soprattutto per vigoria, colore dei fiori e durata della fioritura. Alcune delle più importanti e diffuse, sono elencate di seguito:

  • Bignonia "Judy" : Fiori bicolore, gialli esternamente e rossi all'interno. Rami lunghi, flessibili e leggeri, lunga fioritura. 
  • Bignonia "Mme Galen" : Ibrido già menzionato in precedenza. Fiori numerosi, color salmone.
  • Bignonia "Flamenco" : Fiori color rosso, tendente all'arancione. Foglie dal colore verde più scuro e fioritura in giovane età (anche l'anno dopo la moltiplicazione).
  • Bignonia "Flava" : Fiori color giallo tenue, di dimensioni medio-piccole.
  • Bignonia "Indian Summer" : Ibrido (Campsis x tagliabuana) dai fiori arancio, con sfumature rosse nella parte più interna. Dimensioni più contenute.
  • Bignonia "Serena" : Fiori arancioni, con sfumature giallo oro nella parte più interna. Profonde venature color rosso sui margini interni dei petali.
  • Bignonia "Stromboli" : Fiore rosso scuro-porpora, dall'estremità più allargata rispetto alla specie tipo.
  • Bignonia "Speciosa" : Portamento meno rampicante, si può tentare la coltivazione arbustiva. E' mediamente più piccola della specie tipo. Il colore dei fiori è giallo nella sottovarietà "Speciosa lutea" e rosso in quella "Speciosa rubra".

Campsis radicans si riproduce prevalentemente tramite talea semi-legnosa, la quale va effettuata interrando rami non ancora lignificati, in un vaso contenente sabbia e torba. Questa operazione va eseguita ad inizio estate (Giugno), mentre la radicazione avviene circa due mesi dopo. Durante questo periodo si dovrà tenere il terreno umido, collocare il vaso in una zona ombreggiata, ma calda.
La Bignonia si moltiplica, sebbene più raramente, anche tramite propaggine o innesto.

Fiori-campsis-radicans

Frutti Bignonia

Pianta-Bignonia-Campsis-radicans